Qualche riflessione a partire dai sostegni di sinistra al referendum sulla legalizzazione della cannabis

Se almeno un elemento positivo si può rinvenire nell’altrimenti discutibile modalità con cui le forze della sinistra radicale hanno scelto d’interpretare la loro partecipazione alle elezioni comunali di Milano, è di certo che l’abnorme profusione di candidature raccolte sotto parole d’ordine più o meno identiche ha prodotto una gran quantità d’interventi pubblici. Ciò rende possibile ascoltare una certa varietà di ragionamenti e soppesarli nella loro sostanza.

Questo di Bianca Tedone, la candidata sindaca di Potere al Popolo che conosco (ancorché superficialmente) dai tempi in cui era matricola alla Statale, che se vivessi a Milano non voterei ma che trovo votabile più o meno quanto i suoi quattro competitori d’area (a uno dei quali va l’appoggio dell’organizzazione di cui faccio parte), con il suo tono decisamente pannelliano mi ha spinto a riflettere.

Prima di articolare qualche spunto, premetto per sgombrare il campo che la legalizzazione della cannabis mi trova favorevole e che penso che probabilmente davvero toglierebbe spazio al crimine organizzato, anche se non è certo un argomento che mi tenga sveglio di notte (l’unico aspetto che mi sta davvero a cuore è la questione dell’uso terapeutico, fortunatamente permesso).

Ora, nel dettaglio:

1- L’argomentazione, che qualche riga sopra ho definito di tono “pannelliano”, più correttamente andrebbe definita “liberale” e in certa misura “liberista”. In sostanza, il libero accesso della cannabis al mercato legale toglierebbe spazio a quello illegale, quindi sarebbe un fattore positivo nella lotta al crimine organizzato. Insomma: il libero mercato avrebbe in sé un valore positivo, di ordine finanche etico, capace di farne un propulsore di elementi di moralizzazione delle concrete relazioni sociali. Ovviamente l’affermazione è problematica. Intanto perché non è detto che legalizzare l’ultimo passaggio della filiera (la commercializzazione all’ingrosso o al dettaglio) elimini gli elementi d’immoralità, ma nemmeno d’illegalità, dall’intera filiera: commerciare in banane è del tutto legale, ma questo non impedisce che le multinazionali del settore, attive nei paesi del Terzo Mondo, incentivino il consumo di suolo, sfruttino i lavoratori, magari uccidano i sindacalisti, organizzino colpi di Stato e tante altre cose, ai fini di consentirsi una maggiore competitività sui mercati internazionali. E come insegnano i drammi delle nuove schiavitù nei campi del nostro Sud, il problema non si limita al Terzo Mondo. In secondo luogo perché lo stesso argomento dovrebbe valere, a rigore, anche per droghe pesanti come la cocaina o l’eroina: a questo punto si osserverà giustamente che, in considerazione della differenza d’impatto sulla salute umana, il ruolo dello Stato dovrebbe essere nei due casi esercitato in termini diversi. Ed è proprio qui il carattere liberale e liberista della posizione: in linea di principio, commisurando secondo il criterio del danno sociale e sanitario, lo Stato dovrebbe “retrocedere” e “liberalizzare” un terreno, in modo che il libero mercato faccia la sua magia e dissolva l’intervento della criminalità organizzata.

2- A questo punto si dirà che il ruolo regolatore dello Stato non dovrebbe “retrocedere”, ma “variare” sul modello di quello svolto per le sigarette o per l’alcool. Lasciare libero l’accesso al consumo, magari con qualche bonario ammonimento a tutela dell’esercizio informato del diritto di opzione dell’individuo circa se e come tutelare la propria salute. Qui si pone un altro problema: quello del rapporto tra divieto e funzione “educativa” dello Stato. Insomma: in quali termini l’esercizio del divieto risulterebbe meno etico e meno educativo rispetto al lasciar fare al mercato e alla libertà di scelta dell’individuo? In tutta evidenza, siamo sempre su un terreno liberale e liberista.

3- Nasce qui un ulteriore problema: l’esercizio di una condotta potenzialmente dannosa per la salute (tanto o poco non importa e si potrebbe fare lo stesso discorso per tabacco e alcool) come l’uso (che può sconfinare nell’abuso) di sostanze che alterano la percezione, la lucidità e la presenza di sé, quanto può essere “libero” e quanto invece è determinato dalla concreta condizione di alienazione di chi quella condotta la esercita (quindi dalla sua condizione sociale)? Se si risponde mettendo tout court in primo piano la libertà di scelta, che peraltro si vuole rivolta al consumo di un bene immesso sul mercato, e se quindi si fa retrocedere la collettività organizzata dalla sua funzione educativa rispetto alle condotte individuali soprattutto dei soggetti socialmente più vulnerabili, si è ancora una volta sul terreno del liberalismo e del liberismo.

4- Più in particolare, per una forza antagonista al sistema quanto è legittimo rinunciare a esercitare una funzione educativa nei confronti della classe di riferimento di cui ci si vorrebbe fare avanguardia, rispetto al problema della costruzione di una nuova etica, di una morale antagonistica, di un immaginario emancipatore? Una simile opera comporta necessariamente l’educazione all’esercizio di un’autodisciplina, di un culto della razionalità, della lucidità e della padronanza di sé tanto maggiore, nella misura in cui cresce l’alienazione ed essa, interpretata come opportunità dall’ideologia liberal-libertaria funzionale al mercato, genera le condizioni soggettive per spalancare nuovi mercati e nuovi flussi di capitale resi possibili precisamente dalla solitudine e dall’alienazione. In altri termini, il quesito è: può la sinistra di classe (o che si vorrebbe tale), di fronte a tutto questo, limitarsi a porre la questione dell’accesso al mercato libero e della tutela del consumo? Se la risposta che diamo è affermativa – in termini “di fase” o meno è irrilevante – siamo liberali e liberisti e non siamo quindi strutturalmente né “di classe” né “antagonisti”.

In definitiva, se la sinistra di classe vuole avere una chance di ritrovare uno spazio politico (cioè uno spazio di lotta per il potere, non per la testimonianza di fedi o ideali e nemmeno per pratiche sociali “contropotere” di vario genere), deve chiarirsi le idee una volta per tutte su alcuni aspetti sui quali le nostre idee (non quelle di Bianca o di PaP in particolare: quelle di noi tutti) mi paiono al momento quantomeno fumose, confuse ed esposte alla dittatura del più liberal-liberista di tutti i principi, e cioè quella forma particolare di pluralismo che nega in toto la possibilità del riconoscimento razionale della realtà:

A- Giacché l’esercizio di una funzione d’avanguardia procede dalla definizione di un orizzonte etico antagonistico, quali sono i fondamenti di questo nostro antagonismo etico nel 2021?

B- Giacché la conquista e l’esercizio del potere politico si fondano necessariamente sull’egemonia, cioè sull’esercizio di una capacità di direzione innanzitutto morale della società, e visto che la morale comporta una codificazione dei comportamenti, che tipo di morale poniamo alla base della nostra battaglia egemonica?

C- Giacché struttura e sovrastruttura nella realtà si compenetrano al punto da non sapere dove finisce l’una e dove inizia l’altra, e dal momento che il tema delle relazioni strutturali non si riduce all’appropriazione privata dei mezzi di produzione, ma abbraccia invece necessariamente tutto il complesso delle relazioni economiche, di preciso come ci poniamo noi nei confronti dei meccanismi del mercato e dei loro effetti su tutto il complesso dei rapporti umani? Questo problema emerge oggi più che mai – e con drammatica urgenza – nella problematica della relazione tra offerta e domanda e dunque dei consumi e delle modalità di accesso agli stessi, in considerazione della profonda e crescente integrazione del mercato su scala planetaria, che rende sempre più labile il controllo praticabile del potere di Stato sui processi economici.

D- Che linee di demarcazione tracciamo noi “antagonisti”, diverse da quelle dettate dall’attuale stato di cose e da chi lo domina, tra condizione individuale, libertà di scelta (al netto dei condizionamenti nel suo esercizio) e funzione pedagogica della collettività organizzata?

Si parte dalla cannabis e si arriva all’essenza dei problemi. A chi non sia disposto a mentire a se stesso, non può sfuggire che la potenza egemonica di Draghi è determinata dal fatto che la classe sociale di cui è espressione fornisce oggi al complesso della società le uniche risposte coerenti alle questioni poste sopra. Essa è dunque l’unica a delineare, concettualizzare e praticare un disegno egemonico in senso alto, cioè di direzione intellettuale e morale della società.

L’essenza dell’interpretazione politica della lotta di classe, cioè della possibilità delle classi subalterne di farsi soggetto, è essere in grado di dare a questi problemi risposte antagonistiche altrettanto coerenti, in assenza delle quali non è che uno 0,5% elettorale non serva a niente: anche un 20% sarebbe altrettanto inutile (vedasi Mélenchon 2017).


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